Tra le più belle enciclopedie medievali illustrate conservatesi emerge indiscutibilmente il manoscritto di Lambert di Saint-Omer, noto come Liber Floridus[1]. Il codice, pergamenaceo di 30,5 per 20,4 cm., si compone di quasi 200 capitoli[2] i quali sia per la varietà degli argomenti trattati sia per l'ordine con il quale si susseguono nella compilazione hanno diffuso la nomea di opera «tout à fait désordonnée»[3]. Il problema e cosí il dibattito relativi ad una logica seguiti dal canonico di Saint-Omer, pur ponendosi agli studiosi, sembravano essere rimasti, sebbene aperti, per cosí dire a senso unico, basandosi innanzi tutto sulla bizzarra e quanto mai stravagante qualità della compilazione[4].
Il più recente studio codicologico dedicato all'argomento[5] ha dimostrato che «la causa principale dell'apparente disordine (...) è da ricercarsi nel fatto che l'archetipo di Gand costituisce una copia di lavoro, il cui stato attuale è il risultato di revisioni, inserzioni e addizioni effettuate nel corso degli anni dallo stesso Lambert di Saint-Omer»[6]. La nuova luce gettata nel campo delle indagini da Derolez è indubbiamente di fondamentale importanza. Ma l'idea che l'esemplare di Gand costituisca una copia di lavoro (una copia in fieri!) ci ha indotti a pensare che il risultato attuale non rappresenti quello finale, definitivo, ma che forse sarebbe mutato ulteriormente se Lambert avesse avuto la possibilità di consultare altre fonti o se, insomma, fosse vissuto più a lungo. Abbiamo dunque riconsiderato il problema in relazione ad altri fattori, ovvero al genere letterario in cui l'opera si inserisce e al periodo storico. Da queste considerazioni, prendendo le distanze da alcuni contributi di Lieftinck e di Derolez[7], ci è sembrato lecito ipotizzare che il nostro copista avesse avuto la possibilità di lavorare (oltre che nella propria) anche in diverse biblioteche abbaziali del Nord della Francia tra cui, in primis, quella di Saint-Bertin, situata a prossimità immediata, dove la disponibilità di un ricco patrimonio librario poteva stimolare un lavoro di compilazione. Parallelamente, l'analisi delle illustrazioni ha dato conferma a queste ipotesi. Infatti, se da una parte l'eterogeneità del corredo pittorico dell'opera[8] sembra riconducibile alla diversità dei modelli iconografici di riferimento, dall'altra le soluzioni più originali sembrerebbero fornite da quelle illustrazioni che presuppongono non solo una maggiore documentazione ed un'indagine più larga, ma soprattutto un lavoro di integrazione di fonti testuali, fatti entrambi che richiedono la possibilità di lavorare con un vasto repertorio. Come vedremo, diverse affinità testuali ed iconografiche sembrano convalidare l'esistenza di rapporti tra l'opera di Lambert e l'abbazia di Saint-Bertin.
Dunque, in primo luogo, seguendo la scia di due studi fondamentali di Saxl e Lefèvre[9], consideriamo il Liber Floridus in relazione al genere letterario in cui si inserisce, cioè quello enciclopedico e all'evoluzione cui questo andava, naturalmente, sottoponendosi nel XII secolo, soprattutto a causa di un "quadro storico" sensibilmente cambiato rispetto a due secoli prima, ovvero di quel fenomeno che va sotto il nome di rinascita del dodicesimo secolo.
Per letteratura enciclopedica, generalmente, ci si riferisce a quei testi medievali "intesi a racchiudere tutto lo scibile", ovvero a quelle compilazioni che, «lungi dal concetto attuale di enciclopedia come opera obiettiva»[10], raccoglievano o "interpretavano" le conoscenze più diverse dell'universo[11]. Il carattere fondamentale del genere enciclopedico è, dunque, già delineato: si tratta dell'esito, del risultato di un lavoro di raccolta, di compilazione. Isidoro di Siviglia, con il quale generalmente si fa iniziare il discorso relativo alle enciclopedie medievali[12] grazie alle sue famose Etymologiae, non ha fatto altro che organizzare un enorme inventario di conoscenze e applicare poi a queste un procedimento di analisi grammaticale: diremo «une collection d'extraits»[13]. Due secoli dopo, il monaco benedettino Rabano Mauro, "precettore della Germania" e abate di Fulda (822-842), elaboró in ventidue libri il De rerum naturis et verborum proprietatibus et de mystica rerum significatione[14]. Egli stesso dice: «Ho pensato di scrivere un opuscolo che non trattasse soltanto della natura delle cose e delle proprietà delle parole, ma anche del loro significato mistico»[15]. Sebbene diversi storici sottolineino il fatto che l'epoca carolingia abbia prodotto per la maggior parte una letteratura di "centoni", dedita soprattutto a sistemare le nozioni degli antichi, pagani e cristiani[16], dobbiamo comunque ammettere che con il De universo qualcosa è cambiato, nel senso che qualcosa si è aggiunto. Studi recenti condotti su una copia del De universo, il ms. 132 di Montecassino, prima enciclopedia illustrata che si sia conservata, hanno infatti dimostrato che questa opera ha svolto un ruolo determinante nell'evolversi del concetto stesso di enciclopedia nel Medioevo, sia per le modifiche che l'autore apportó al testo, soprattutto riorganizzando diversamente la materia trattata rispetto a quella di Isidoro ed aggiungendo due libri ai venti delle Etymologiae, distaccandosi cosí dalla tradizione classica; sia introducendo le illustrazioni, le quali dimostrano come l'indirizzo spirituale di Rabano (la significatio mystica) sia in esse assunto e riflesso[17]. Dicevo, dunque, che qualcosa si è aggiunto perchè l'enciclopedia di Rabano Mauro non si presenta soltanto come un "quadro" della conoscenza nel senso di "sistemazione e conservazione", manifestando cosí un valore propriamente statico, ma come un vero e proprio tentativo di "interpretare" quella conoscenza, quello scibile che, raccolto, viene ora spiegato. Questo tentativo porta con sé un senso di dinamismo, «una promozione dello stesso sapere»[18], un'espressione di rinnovamento.
Proprio queste concezioni, tra XI e XII secolo, saranno raccolte ed esposte da Pietro Abelardo, prima grande figura di intellettuale moderno, rivelazione più alta dell'ambiente scolastico parigino, il quale si farà promotore di quel progressus scientiarum, ovvero di quell'«oggetivo ampliarsi del sapere»[19] che sta alla base di ogni atteggiamento propositivo, critico, attivo nei confronti dello scibile. Il XII secolo sembra dunque schiudersi all'insegna di una vivace coscienza incline a rinnovare, a fare "del nuovo". Non sopraffatta del tutto, persisteva ancora l'idea della senectus mundi, la rassegnazione di chi pensava che il mondo fosse ormai giunto alla fine del suo percorso, ma tanto negativamente si affiancava questo atteggiamento a lato della "conoscenza", tanto positivamente una nuova fiducia nella storia, nella scienza, nella cultura le camminava accanto. Ambiguità, certamente, e non più una logica, ovvero non più lo «sviluppo unitario di una sola immagine della logica»[20]. Come non poteva un genere letterario, quale quello enciclopedico, cosí intimamente legato alle "conoscenze del mondo", e dunque al mondo stesso, non riflettere in sé i mutamenti, gli entusiasmi e gli interessi di esso?
L'opera di Lambert è figlia del suo tempo. Non è un caso se più di un quarto di essa è dedicata a testi di storia, non solo passata, ma anche, e soprattutto, presente, locale e universale. Che cosa, se non un forte senso della storia, puó maggiormente creare una coscienza di sé[21]? Le preoccupazioni verso l'uomo, l'umanità, verso ció che essi contemplano e che sta loro attorno conducono Lambert a sollevare problemi di ordine cosmologico, ad inserire testi che riguardano le relazioni tra microcosmo e macrocosmo: queste sono le grandi novità. Cosí il lavoro che sta alla base della realizzazione del Liber Floridus è essenzialmente diverso rispetto a quello dei suoi predecessori, soprattutto Isidoro e Rabano Mauro, ai quali comunque Lambert resta debitore. Diremo piuttosto che a Lambert ora, libero dagli scrupoli altomedievali, si presenta quella vivace curiosità, caratteristica della sensibilità del XII secolo, che lo porta a «collectionner toutes les phrases qu'on peut trouver ça et là pour mieux connaître l'objet en question»[22]: il lavoro di compilazione, come dice Lefèvre, è ora "cumulativo"[23]. Ma "cumulativo" nel senso di disordinato? Non precisamente. "Cumulativo" è anche il lavoro di Herrada di Landsberg, l'Hortus Deliciarum[24], i cui testi sono peró ritenuti dagli studiosi coerenti ad un programma o, come dice Lefèvre, «fortemente strutturati»: dunque composizione cumulativa nel senso della natura stessa del modo di eseguire un'opera enciclopedica nel XII secolo. Come si diceva, Lambert sembra piuttosto preoccupato a raccogliere gli elementi più svariati per definire gli aspetti del mondo che lo coinvolgono e lo interessano. Allo stesso modo nel prologo del Liber Floridus (f 3v) non si parla di un programma rigidamente impostato, al contrario ció che emerge con insistenza è una metafora che vede protagonisti il Liber Floridus e un bouquet di fiori[25]. Dunque: un entusiasmo poco frenato, e la denuncia di un disordine che sembra piuttosto corrispondere all'animato desiderio di sapere, di conoscere, di raccogliere, di "compilare" di un canonico dell'inizio del XII secolo.
Le prime informazioni relative all'autore del Liber Floridus, lo scriba Lambertus, ci giungono dal testo stesso. Dal prologo (f 3v) conosciamo il nome e la qualifica dello scriba, nonché il nome di suo padre («La(m)b(er)t(us) filiu(s) Onulfi, canonic(us) S(an)c(t)i Audomari»); nel primo foglio del Martirologio (26v) e negli Annali del capitolo XXII (f '43 v) troviamo, nuovamente citato, Onulfo, padre di Lambert, e la data della sua morte; infine nell'albero genealogico della famiglia materna (f 154r) troviamo: «Genealogia Ouduini et Heimerici decani filii sui. (...) Eva genuit Lamb(er)tu(m)». Lambert era dunque un canonico che faceva parte del capitolo di Notre-Dame, a Saint-Omer. Suo padre, Onulfo, anch'esso canonico, era sposato con tale Eva, il cui nonno, Heimericus, era sposato e decano. Apparteneva di fatto ad una grande famiglia laica al cui interno vi erano degli ecclesiastici e, per cosí dire, degli "amministratori" (come un certo Odo custos e Robertus vicecomes, f 154r): famiglia che, probabilmente, occupava un posto di rilievo, se non dirigente, all'interno del capitolo[26]. Malgrado ció, quando nel 1077 il padre di Lambert morí[27], i rapporti tra i canonici del capitolo e gli "agenti" del conte di Fiandra (massima autorità non solo del paese, ma anche della vicina abbazia di Saint-Bertin) non erano dei migliori[28]. Ció ha indotto Lieftinck ad affermare che l'abbazia di Saint-Bertin e cosí la ricca biblioteca a questa annessa, fossero chiuse, e dunque, impraticabili, per un canonico di Saint-Omer[29]. Lo stesso Derolez sembra propendere per questa versione[30]. In un suo contributo leggiamo: «D'après mes recherches au début du XIIe siècle le chapitre de Saint-Omer disposait d'une petite bibliothèque, mais non d'un scriptorium, puisqu'il faisait écrire ses livres dans le scriptorium renommé de la célèbre abbaye de Saint-Bertin, située à proximité immédiate, et qui disposait d'une riche bibliothèque»[31]. Quest'ultimo fatto sarebbe confermato da un manoscritto proveniente da Saint-Omer (oggi a Bruxelles, Bibl. Reale 6439-6451) e copia eseguita a Saint-Bertin dei mss. Saint-Omer 697, Saint-Omer 706 e Bruxelles 15835[32]. Ora il dubbio è questo: se un canonico di Saint-Omer non aveva accesso alla famosa e ricca biblioteca abbaziale, perchè mai poteva aver accesso allo scriptorium, quando il problema era all'origine, cioè si situava nei cattivi rapporti di "vicinato"?[33]. Dopo la lettura di alcune pagine di G. Cavallo e di A. Petrucci dedicate alle biblioteche medievali il dubbio si è ulteriormente amplificato[34]. Entrambi gli studiosi sottolineano, infatti, il carattere di "coincidenza o contiguità" tra uno scriptorium attivo ed organizzato e la biblioteca, la quale, afferma Cavallo, «consisteva in pratica di armaria che si trovavano o nello scriptorium stesso o in una stanza deposito al di sopra di questa»[35]. Al f 13v, inoltre, vediamo l'immagine di Lambert (indicata dalla sola lettera "L" maiuscola sopra di lui) colta (in un interno?) nell'atto stesso di scrivere, iconografia tradizionale dello studioso che sta seduto al suo scrittoio. Perchè mai dunque Lambert si sarebbe rappresentato cosí?
Secondo Derolez, ad ogni modo, Lambert usufruiva, "di preferenza", dei testi presenti nella biblioteca capitolare di Saint-Omer[36], fatto avvalorato dalla presenza di alcune delle principali fonti usate da Lambert in un piccolo numero di compilazioni probabilmente giunte a sua conoscenza[37]. Ma cosa si intende quando si dice che Lambert ha consultato "preferibilmente" il centinaio di testi nella biblioteca capitolare, quando questa era, in realtà, una piccola biblioteca per di più priva di uno scriptorium? Allo stato attuale non possediamo, purtroppo, sufficienti fonti catalogiche: il più antico inventario della biblioteca capitolare in questione risale al 1601[38]. Sappiamo, comunque, grazie ad un minuzioso studio di B. Munk Olsen condotto su circa centoquaranta inventari del XII secolo, che le biblioteche numericamente più ricche di volumi si trovavano nei monasteri benedettini (soprattutto in Francia e in Inghilterra), mentre le fonti catalogiche di biblioteche capitolari, sebbene attestate, raramente denunciavano considerevoli quantità di libri[39]. Per nostra fortuna tra i centoquaranta inventari studiati da Munk Olsen si trovano anche quelli delle abbazie di Saint-Bertin, di Saint-Vaast ad Arras e di Saint-Amand: luoghi molto vicini tra loro e circoscritti nella contea di Fiandra. Sebbene le cifre siano del tutto approssimative, questi tre inventari rientrano tra le diciassette biblioteche che oltrepasserebbero i duecento volumi di patrimonio, cifra indubbiamente indice qualificante di ricchezza[40], quando «di solito un'istituzione ecclesiastica media (...) possedeva venti o trenta pezzi in tutto»[41]. Dunque, a nostro avviso Lambert è stato ostacolato nella compilazione della sua opera enciclopedica soprattutto da difficoltà "fisiche", materiali, quali, in primis, la mancanza di una ricca e fornita biblioteca nel capitolo. Allo stesso tempo la realtà dei cattivi rapporti tra quest'ultimo e l'abbazia di Saint-Bertin[42] non sembra giustificare il fatto che Lambert non abbia avuto accesso alla famosa biblioteca di Saint-Bertin, il cui scriptorium godeva già, soprattutto all'epoca del colto abate Odberto (986-1007) di una incomparabile fioritura[43].
Il fatto che le illustrazioni del Liber Floridus non rappresentino un gruppo omogeneo è stato già da tempo sottolineato[44]. Swarzenski, partendo dal presupposto che nel Liber Floridus troviamo, in alcuni casi, la presenza di diversi scribi, ha suggerito la possibilità di individuarvi anche più miniatori, riconducendo in un certo senso la questione ad una "diversità di mani"[45]. In generale, l'opinione sull'eterogeneità del corredo pittorico sembra aver trovato motivo d'essere in quella differenza di resa, in quella disuguaglianza riscontrabile nel modo più o meno accurato di tracciare le figure, in particolare quelle animali e quelle umane. Sebbene non fosse molto chiaro cosa si intendesse effettivamente con "figure umane trattate con più arte" o con "inesperienza nel disegno degli animali", gli studiosi sembravano piuttosto porre l'accento su questa (poco chiara) differenza di "valore artistico". Del resto, stranamente, proprio quelle immagini considerate "inferiori" per la grossolanità della loro esecuzione, apparivano agli studiosi interessanti dal punto di vista iconografico.
Dobbiamo ammettere che questo carattere di non omogeneità, questa impressione, diremo quasi epidermica, di non somiglianza tra le illustrazioni, sono effettivamente presenti nel Liber Floridus. Considerando brevemente alcuni esempi, possiamo dire che il drago rappresentato al f 60v ci restituisce un'idea fortemente decorativa dell'immagine, basata soprattutto sulla linearità del disegno, sulla immobilità e sulla stilizzazione del corpo dell'animale[46]. Altro carattere mostra invece il ciclo di miniature che rappresenta le costellazioni (ff 89r-91v). Qui ogni pagina contiene non una, bensí diverse figure: uomini ed animali all'interno di essa si muovono liberamente. Percepiamo un senso di dinamismo, di vivacità, un carattere narrativo e "giocoso" che ci esortano ad indagare piuttosto verso modelli che risentono dell'influenza carolingia. Cosí ancora, in altre miniature (ff 13r, 52r, 65r, 168r, 259v) gli sfondi architettonici, fedeli al piano verticale più che alla profondità della scena[47], esuberanti nel colorito, soprattutto per l'uso del rosso e del blu, denunciano un tipo di rappresentazione ben nota al Nord della Francia. La nostra proposta si è focalizzata, dunque, non tanto attorno al binomio esperienza/inesperienza, quanto piuttosto attorno alla questione della diversità delle fonti e dei modelli di riferimento, alla molteplicità dei contatti e dei luoghi. La biblioteca e la fervida attività dello scriptorium di Saint-Bertin, situati a prossimità immediata del capitolo, sembravano poter offrire queste caratteristiche. Tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo le profonde risonanze dell'arte anglosassone raggiungono nuovamente i grandi monasteri del Nord della Francia. Vittime, a più riprese, degli attacchi dei Normanni, i grandi scriptoria carolingi (Saint-Bertin, Saint-Vaast, Saint-Amand) riprendono l'attività di un tempo attingendo dalle opere di stile franco-sassone del loro passato[48]. In un clima di tale fermento, in cui nuove azioni si esercitano sulla Francia settentrionale dall'Inghilterra e dalle regioni della Mosa e del Reno, Odberto, abate di Saint-Bertin (986-1007), spirito pronto a recepire gli aspetti del nuovo senza dimenticare quelli del passato, favorirà energeticamente lo sviluppo del suo scriptorium: egli stesso, artista, copia ed interpreta[49]. E' chiaro che fonti testuali e modelli iconografici dovevano essere molteplici e svariati nell'abbazia di Saint-Bertin.
In questa sede non sarà ad ogni modo possibile esaminare tutte le illustrazioni del Liber Floridus che, allo stato attuale, escludendo i capolettera miniati, ne comprende sessantadue[50], tra cui ventotto denominate schemata per le loro forme prevalentemente geometriche[51].
Procedendo ad analizzare le illustrazioni sono stati dapprima evidenziati, in base ad affinità tematiche, diversi "gruppi di lettura"; in seguito dopo aver letto l'immagine parallelamente alla parola scritta e dunque dopo aver rintracciato le fonti testuali, si è cercato di vedere in quali termini l'illustrazione si ponesse nei confronti del testo (ovvero se traducesse direttamente il contenuto primario espresso nel titolo o nel capitolo, o se invece aggiungesse, rispetto ad esso, elementi di carattere interpretativo) e di altri manoscritti, eseguiti in particolare a Saint-Bertin, che per affinità formali e stilistiche sembravano suffragare e giustificare l'ipotesi di una compilazione avvenuta usufruendo di modelli presenti in una ricca biblioteca.
Ai ff 6v, 13r, 259v, 260r sebbene le illustrazioni traducano in immagini tipiche (il pontifex assiso, lo scriba) quanto esposto nei titoli o nelle brevi didascalie, emerge soprattutto un forte entusiasmo per la «storia locale»[52], sottolineato da diversi espedienti utilizzati da Lambert. Al f 6v (fig. 1), dopo una breve presentazione elogiativa («VERSUS DE S(AN)C(T)O AUDOMARO MORINORU(M) EP(ISCOP)O»), sotto un titolo in capitale («GLORIOSUS PONTIFEX AUDOMARUS»), troviamo al centro il santo della città, nimbato ed in posa assolutamente frontale[53]. L'immagine, pur ricalcando il motivo iconografico del pontifex assiso, appare insolitamente originale per la presenza di un semicerchio suddiviso in tre strisce (generalmente utilizzato nell'iconografia della Maiestas Domini) al posto del comune seggio[54]. Cosí leggiamo infatti nel testo: «ia(m) cu(m) s(an)c(t)or(um) grege regnat i(n) arce polorum». La fedeltà prestata nel tradurre "letteralmente" la parola in immagine diventa ad ogni modo ancor più interessante se messa in relazione al contiguo f 13r (fig. 2)[55]. A parte un brevissimo testo a sinistra dello scriba, uno a destra, e le poche parole che lo scriba stesso sta scrivendo nel foglio, la pagina colpisce immediatamente per l'importanza data all'illustrazione. L'immagine tutta sembra continuare e completare visivamente il panegirico del f 6v. In summa pagina troviamo: «Sithiu villa id est S(an)c(t)i Audomari castrum»[56]. Immediatamente sotto, conforme all'iconografia della rappresentazione fantastica, la città del santo. Alcuni aspetti sembrano mettere in relazione Lambert e l'abbazia di Saint-Bertin. In un manoscritto eseguito nello scriptorium della nota abbazia per volere dell'abate Odberto attorno all'anno Mille, nella parte superiore della pagina una simile costruzione raccoglie ed inquadra l'immagine[57]. Nel resto della pagina troviamo lo scriba Lambert indicato dalla sola lettera "L", maiuscola, sopra di lui. L'illustrazione riprende l'iconografia tradizionale dello studioso che sta seduto al suo scrittoio e scrive: è posto di tre quarti ed indossa una larga tunica le cui pieghe, formando un fitto zig-zag, non sono prive di una certa leziosità e di una sorta di manierismo, cosí come per i riccioli dei capelli. In particolare, la maniera elegante di delineare le vesti (dello scriba come quelle del santo al f 6v; del Cristo in maestà al f 88r e dell'imperatore Augusto al f 138v), tracciate semplicemente a penna, ricordano alcune figure di manoscritti eseguiti a Saint-Bertin[58]. Alla sua destra e alla sua sinistra, lo scriba riporta una lista degli abati di Saint-Bertin e dei prevosti di Saint-Omer[59]: in particolare l'ordine seguito per gli abati corrisponde a quello che troviamo nel Cartulario dell'abbazia di Saint-Bertin[60]. Inoltre, cosí leggiamo nel foglio che Lambert sta scrivendo: «Anno MLII oste(n)dit archiep(iscopus) Wido s(anctum) Aud(omarum) p(opu)lo». Sappiamo infatti che nel 1050, durante alcuni lavori di restauro, promossi dall'abate Bovon (1043-1065) attorno all'antico altare della chiesa di Saint-Martin (poi Saint-Bertin), fu ritrovato il corpo del santo Bertino, nascosto da oltre due secoli per evitare la profanazione dei Normanni[61]. Soltanto nel 1052 si procedette al sollevamento delle reliquie[62]. In seguito a questo avvenimento, il giorno dopo, i canonici del capitolo chiesero all'arcivescovo di Reims di eseguire una ostensio a scopo venerativo delle reliquie del santo Audomaro[63]. In maniera del tutto originale Lambert, come circa settant'anni prima, in una sorta di "metapresentazione", esibisce ora al suo popolo l'effigie del santo. Dunque non una vera e propria immagine "dedicatoria"[64]: il canonico Lambert non offre il codice da lui redatto al santo, piuttosto attraverso ció che sta scrivendo (e cioè la parola), in una sorta di flash-back, unisce non solo passato e presente, ma completa e definisce il senso del particolare dittico creato dalle due immagini.
Una contiguità semantica viene ripresa ai ff 259v-260r. Nella prima pagina la solenne immagine del santo (fig. 4), emerge da uno sfondo rosso-porpora. Sebbene l'immagine sia eseguita in maniera più imprecisa, al f 7r del ms. 764 della Bibl. Munic. di Saint-Omer[65], una figura simile, frontale, in piedi su di uno sgabello grossolanamente eseguito, regge con la mano sinistra il pastorale, mentre la destra è sollevata nel gesto benedicente latino. Accanto al f 259v, Lambert rappresenta l'interno di un edificio delimitato, superiormente, da un tetto a capanna e da un arco a tutto sesto al centro (fig. 3). In summa pagina il testo ci indica: «Eccl(esi)a Sithiu s(an)c(t)e Marie (et) s(an)c(t)i Aud(omari) Ep(iscop)i». All'interno, su un rialzamento di tre gradini, l'altare (suggerito dall'omonima scritta) sostiene l'arca contenente il corpo del santo Audomaro[66]. Ai lati dell'altare «CA(N)DELABRA AUREA»; sopra, conformemente a quanto leggiamo nella Vita S. Audomari[67], appesa all'arco centrale, una torcia («la(m)pas»). Anche in questo caso, il particolare dittico illustrativo (che conclude altresí, dal punto di vista figurativo, l'opera) conferisce al santo un'importanza imprescindibile.
Nelle illustrazioni relative agli animali (ff 56v-57r, 58v, 60v, 61v) le immagini visualizzano in generale l'oggetto "concreto", sia esso reale o fantastico. Il grifone, il drago (f 60v, fig. 5) e il coccodrillo inseriti nella pagina senza alcun riferimento di luogo (sebbene il testo lo riporti) rispondono ad uno spiccato gusto decorativo. I riferimenti iconografici frequentemente presenti nella lavorazione dei metalli e nella scultura del XII secolo nel Nord della Francia, in Inghilterra, nella regione dell'Escaut[68] ricorrevano altresí nelle pagine miniate, dove in particolare i capolettera miniati offrivano lo spunto per numerose rappresentazioni[69] A differenza degli altri animali, nel leone emerge una maggiore carica realistica (f 56v, fig. 6). Presentato di profilo e in posa eretta, l'animale appoggia gli arti anteriori su di un terreno verdeggiante, alquanto stilizzato, unico elemento paesaggistico. Accovacciato sulle zampe posteriori, un porcospino da una piccola altura volge lo sguardo al leone, il quale, a sua volta, voltandosi verso di lui, finisce con l'indirizzare lo sguardo verso il lettore. Dal testo di Lambert, cosí spieghiamo la presenza del porcospino: «Leo q(uo)tannis febricitat (et) cu(m) porcello (et) catulo iocando febres amittit». Lo stato del leone è indubbiamente di mansuetudine: gli artigli sono riposti; gli occhi e le arcate sopracigliari scendendo verso il basso, gli conferiscono un senso di mitezza. La precisione con cui è descritto il volto dell'animale (il contorno del naso, i peli delle fauci, le lumeggiature bianche che sembrano ricercare un senso di plasticità) e la folta peluria della criniera assegnano all'immagine un carattere descrittivo, fornendo cosí all'artista l'occasione per una resa più naturalistica delle sembianze dell'animale. Ora il fatto che estratti presi da una stessa opera, quale quella isidorea, forniscano visivamente risultati diversi, ci induce ad ipotizzare una diversità di modelli iconografici di riferimento, avvalorata, se vogliamo, dal fatto che al f 58v un foglio dépliant contiene degli estratti del Physiologus latinus[70].
Altre illustrazioni sono piuttosto basate su un particolare sentimento escatologico, come ad esempio le immagini del Paradiso (f 52r, fig. 7) e della Gerusalemme Celeste (f 65r, fig. 8). Esse, illustrando l'intera pagina, sono introdotte soltanto dai titoli. In questo caso le fonti testuali, rintracciate nell'Antico Testamento e nell'Apocalisse, sono trasposte visivamente nell'immagine con interventi di carattere interpretativo. In particolare al f 52r il Paradiso, sintetizzando diversi passi biblici[71] sembra allo stesso tempo presentare nella fascia degli edifici una "contaminazione iconografica" con la successiva Gerusalemme Celeste, sottolineando cosí la coincidenza concettuale tra Eden primigenio e Paradiso futuro[72].
Anche il ciclo delle costellazioni (ff 88v-91v) ha richiamato particolarmente la nostra attenzione. Esso infatti sembra avvicinarci più di ogni altro all'idea di una compilazione avvenuta secondo i termini sopra esposti. Sebbene il problema rimanga profondamente radicato nella questione delle numerose versioni latine degli Aratea[73], dalla nostra analisi emergono diversi punti. Innanzi tutto il testo di Lambert, pur richiamando quello di Beda nel titolo («Beda de astrologia») e nella forma espositiva, nel contenuto spesso se ne differenzia[74], mentre allo stesso tempo alcune denominazioni di costellazioni (come «Artophilax», «Serpens» f 89r, «Deltoton» f 90r), non riportate da Beda, ricorrono nel testo di Germanico[75], il quale, particolarmente presente nella tradizione figurativa soprattutto grazie al ms. Voss. Lat. Q 79 di Leida[76], ci sembra spesso "quasi" descrivere le immagini riportate da Lambert.
Le prime due costellazioni trattate sono le Orse Maggiore e Minore (f 89r, fig. 9). In alto, a sinistra, troviamo effettivamente due orsi di cui il primo («Ursa maior») è un po' più grande dell'altro («Ursa minor»). Presentano entrambi tante stelle quante ne indica il testo, cosí come viene rispettata la loro posizione (scrive ad es. Lambert: «...Arcturus Maior h(abe)t stellas in capite VII»; «Arcturus Minor h(abe)t stellas in uno latere IIII claras in q(ua)d\r/o positas...»). Nel ms. 132 di Montecassino (cap. VIII, 1) la pagina raffigurante gli animali (p. 189) presenta un orso molto simile a quello di Lambert. Cosí afferma la Reuter: «L'orso è disegnato secondo il modello dell'arcturus dei manoscritti astronomici»[77]. L'ipotesi infatti che il nostro copista abbia consultato diversi codici illustrati di astronomia non ci sembra azzardata. In particolare, confrontando le illustrazioni del Liber Floridus con quelle del ms. di Boulogne (Bibl. Munic., ms. 188, f 20r e f30r)[78], copia, eseguita a Saint-Bertin per volere dell'abate Odberto, del ms. di Leida, emergono diverse affinità iconografiche (per es. le due Orse, il Serpente, Pegaso, l'Aquila) che ci inducono a supporre una relazione tra le immagini di Lambert e questa tradizione figurativa[79]. Cosí per la posizione assunta dalle Orse leggiamo in Germanico: «Si melius dixisse feras, obversa refulget ora feris, caput alterius super horrida terga alterius lucet»[80]. Un serpente a forma di esse avvolge nelle sue spire le due Orse. Scrive Lambert: «Serpens (...) int(er) Arcturus medius iac(et)». Beda definisce la costellazione «Draco», mentre Germanico (come Lambert) «Serpens»[81]. Poco più in basso, a sinistra, accanto alla stella «Polus», è la costellazione di Ercole. La figura, indicata dalla scritta «Hercules», ripete l'immagine del noto eroe già tipica nell'antichità, secondo cui il dio è rappresentato con la clava e la pelle di leone (accanto a quest'ultima aggiunge Lambert: «pell(is) leonis»). Ercole, barbato, è ripreso di profilo; la mano destra è protesa verso l'alto mentre, con la stessa gamba, sembra inginocchiarsi. Sia Beda sia Germanico sottolineano questa posizione, ma mentre in quest'ultimo il personaggio risulta un anonimo individuo[82], Beda accetta l'associazione tra eroe mitologico e la particolare posizione dell'individuo[83]. Ancora, a destra si trova la costellazione del Serpentario. Sebbene Lambert rispetti la disposizione delle stelle («in capite I, in sing(u)lis humeris (et) pedib(us) I...»), in realtà nulla si dice circa la figura maschile che vediamo avvolta da un lungo serpente. Leggiamo in Germanico: «Longe caput ante notabis et vastos umeros (...). Lux tenuis manibus, per quas elabitur Anguis, pressus utraque manu, medium cingens Ophicum»[84]. In basso, accanto alla costellazione della Corona, Boote. Il personaggio, posto di fronte, volge lo sguardo a sinistra ed indossa una cortissima clamide. Mentre Lambert definisce la costellazione «Boetes Artophilax», che significa custode dell'Orsa, Beda, omettendo il nome "Artofilace", spiega: «Boetes custos plaustri fertur esse»[85]. Al contrario in Germanico ritroviamo : «...sive ille Arctophilax...»[86].
L'idea che Lambert abbia lavorato, consultando molteplici fonti, in una o più biblioteche sembra, infine, emergere anche dall'analisi degli schemata[87]. Rintracciando la principale fonte testuale usata da Lambert nei Commentarii di Macrobio, queste illustrazioni, sebbene a volte di facile lettura, risultano molto più spesso di difficile interpretazione, soprattutto per l'omissione da parte di Lambert di brani che, a nostro avviso, appaiono chiarificatori (per es. ff 24r, 24v, 92r, 225v, 227v). L'atteggiamento, diremo, "noncurante" di Lambert nei confronti di una stretta relazione tra testo e immagine ci fa pensare ad una realizzazione "grafica" avvenuta contemporaneamente alla lettura della fonte testuale, fatto che avrebbe determinato la mancanza della relativa spiegazione scritta. Al f 24r (fig. 10) ad es., pur riconoscendo, al centro, la rappresentazione della Terra secondo il diagramma O-T[88] e, informati dal titolo «ORDO VE(N)TORU(M) XII», l'identità dei dodici venti[89], nulla sappiamo dal testo circa le "masse blu" che li alternano e la sottile fascia che avvolge la Terra. La spiegazione ci sembra fornita dal I libro dei Commentarii di Macrobio[90]: (La Terra) «è permeata e contenuta dall'atmosfera con la sua densità, che è più vicina al freddo della Terra che al calore del Sole per la fissità di un denso soffio, ed essa non si muove né indietro né in avanti, sia per l'azione dell'aria che la circonda e l'opprime da ogni parte con uguale intensità, sia per lo stesso bordo estremo della sfera. (...) se l'aria resa densa per l'evaporazione della terra fredda, si coagula in una nube e cosí si rompe in pioggia, e d'altra parte l'aria è diffusa intorno e perció circonda tutta la Terra, senza dubbio l'acqua della pioggia emana da ogni parte dell'atmosfera...».
In altri casi, ancora, ci è sembrato di poter rintracciare alcuni modelli per le rappresentazioni schematiche (forse presi ad esempio da Lambert) in manoscriti eseguiti a Saint-Bertin. Al f 24v del Liber Floridus troviamo la rappresentazione della Terra secondo la divisione in cinque zone; attorno alla massa terrestre l'oceano è rappresentato da una fascia azzurra ondulata. Una soluzione simile è presente in un ms. proveniente dall'abbazia di Saint-Bertin, oggi nella Bibl. Munic. di Saint-Omer[91]. Al f 1r vediamo il frammento di una carta circolare: anche qui una serie di linee ondulate rappresenta l'oceano che circonda la Terra[92].
Al f 222r, inserito nel capitolo «De V mundi regionibus Plato», Lambert utilizza uno schema triangolare inserito in una figura trapezoidale per indicare i rapporti sinfonici generati dalla combinazione dei toni e dei semitoni. Ancora, in un ms. eseguito a Saint-Bertin una simile costruzione triangolare rappresenta la scala dei toni musicali[93].
Come abbiamo già avuto modo di dire, anche il percorso compiuto attraverso l'analisi delle illustrazioni sembra confermare le ipotesi formulate all'inizio di questo discorso. Se da una parte, infatti, è stato ipotizzato che Lambert avesse lavorato, oltre che nella propria, anche in diverse biblioteche la cui disponibilità di un ricco patrimonio librario poteva stimolare un tale lavoro di compilazione, dall'altra la realtà storica dei difficili rapporti tra il capitolo e l'abbazia di Saint-Bertin, sebbene possa aver ostacolato la ricerca del canonico, non sembra giustificare un divieto di accesso nella nota biblioteca abbaziale. Allo stesso tempo, se da una parte l'eterogeneità del corredo pittorico sembra riconducibile alla varietà dei modelli di riferimento e dunque alla possibilità di usufruire di un ricco repertorio iconografico, dall'altra le affinità iconografiche e stilistiche riscontrate con alcuni manoscritti eseguiti a Saint-Bertin, convalidano l'idea che Lambert abbia lavorato nella biblioteca abbaziale.
Frutto di uno spirito entusiasta e "curioso", le soluzioni più originali[94] denotano insomma una larga indagine testuale ed iconografica, cosa che, riecheggiando le parole del prologo era stata in fonda da Lambert espressa fin dall'inizio: «Que(m) (...) Floridu(m) intitulavi, q(ui)a (et) varior(um) libror(um) ornatib(us) flor(et) reru(m)q(ue) mirandaru(m) narratione p(r)epoll(et)»[95].